fine democrazia
così almeno come ce l´hanno presentata o, quantomeno, come l´abbiamo concepita e finora vissuta, la democrazia non esiste più. Quanto abbiamo creduto contenesse non è stato riscontrato. E’ vero, schiavi e despota non ci sono più - per modo di dire - sempre che tv, informatizzazione, burocrazia e capitalismo non li abbiano egregiamente sostituiti. Corruzione materiale e morale hanno cariato le fondamenta del grande sogno egualitario. (Gli anarchici lo sapevano da mo’). L´incastellatura d’apparenza che ancora regge è abitata dalla politica commerciale che ha come ideali - bene che vada - un progresso legato al Pil e una curva verso l´alto che vorrebbe dimostrare un benessere strettamente vincolato all’accumulo. Ma c’è un procedere che si avvale del sentire in sede del più rinomato sapere. L’epoca razionalistica, eleggendo a supremo e a dogma la sua verità tecnologica e scientista, sta mostrando il suo inumano limite. Come dice Bauman, nella sua società liquida le appartenenze corrispondono ad interessi sempre più di alta frequenza cioè, edonistici, materialistici, commerciali e di potere. Cioè a dire che i valori “prepolitici” di Massimo Fini non fanno più definitivamente testo, non sono più costituenti della nostra cultura. La democrazia è finita perché inumana da un lato, in quanto prodotto di una concezione razionalistica dell’uomo e anche perché la sua nuce sentimentale, cioè il suo bisogno di lealtà non è più nei nostri opulenti corpi. Ma gli uomini non sono ratione sono sentimenti, carne ed estetica. Da lì creano il razionale, non viceversa. In questo spazio qualche spunto per dare voce ai nostalgici di umanesimo.
24.milena, antonio e i carabinieri 060114
Antonio Padellaro sottolinea l´articolo di Milena Gabanelli. Non so in Italia, e oltre, chi non lo farebbe, media classe politica a parte, più qualche soddisfatto. L´articolo di Antonio, dopo gli apprezzamenti, ironizza: <<Non sono d’accordo>> dice. <<Vorresti veder morire i pochi buoni competenti che potrebbero sostituire i cialtroni al governo?>> <<Su questo punto, cara Milena>> continua Antonio <<non sono d’accordo>>. <<Li manderesti a morte certa>>. Il corsivo dice che il riferito non è testuale. Ma è testuale che Antonio sia uno dei tanti convinti che si possa risollevare la situazione. Almeno in teoria. E come, chiedo. Immagino che la risposta non possa che essere presa dal bagaglio che possiedono. Impegno, onestà, deontologia, rispetto delle leggi, morte al nepotismo, vita alla meritocrazia, abbattimento delle spese superflue, razionalizzazione, pensione per tutti, assunzioni, dignità, lungimiranza. La lista è solo accennata. Personalmente non la sottoscriverei. Sottoscriverei prioritariamente un altro manifesto. Quello che accenna al sistema democratico come macchina condivisibile sulla carta ma storicamente mai realizzata. (A meno non si voglia accennare agli Stati Uniti come modello.) Non solo, il manifesto accennerebbe anche ad aspetti che al pari dell’elencone, pungiglione nella carne dei quasi tutti citati, meritano di essere presi in considerazione. Perché quel merito? Già detto. Perché la storia ci ha dato tutto per capire che chiunque quando ha i poteri, si trova anche le possibilità per applicarli… a suo vantaggio. Lo facciamo noi, nel privato, nei rapporti a due. Come potrebbero cessare di farlo loro, che sono come noi. Ci aveva pensato Stirner a sintetizzare la questione: “ogni ideologia, sarà sempre inferiore all’interesse personale.” Ma chi se ne frega di Stirner. Eppure gli anarchici… <<Ma che c’entrano gli anarchici?>> Centrano perché l’anarchia, diversamente dagli ingenui, incongrui, strategici del resto del mondo, l’anarchia non è fregarsene di tutto tranne che di se stesso. Non è casino. È il suo contrario. Essa dice due cose. a.Ogni organizzazione crea potere. Questo, aggiungiamo noi, è creazione di corruzione, connivenza, interesse privato in crescendo, ecc. È per questa collana, di cui consapevoli - hanno dato un’occhiata alla storia, furbi no? - che contestano il potere costituito, mettono le bombe, sparano ai re, saltano dalle finestre, eccetera, eccetera. Come stare insieme? Come essere società allora? b.Il coniglio che esce dal cilindro degli anarchici si chiama assunzione di responsabilità. Qui dovremmo tutti - quasi - d’accordo. Non è per una assunzione di responsabilità realizzata - e data per scontata - che la Milena pretende “competenti”, piuttosto che favorire a priori i “quarantenni”? Non è l’Antonio che scherzandoci su, vuole di fatto solo sottolineare quanto sia condivisibile quella aspirata pretesa? Assunzione di responsabilità significa farsi carico di tutto. Pure del passato. Psicologicamente significa non poter più allungare l’indice contro qualcuno o qualcosa. Simbolicamente, che, da esseri separati diveniamo parte di un tutto, di un unico organismo. In quel caso, che senso avrebbe lavorare bene per il proprio fegato e accusare chi non sparge liquido sinoviale nelle articolazioni? Stiamo parlando di un altro uomo. Forse. Ma con questo, disponibile ora, come può il sistema aggiornarsi? Sarebbe come pretendere dalla Milena e dall’Antonio di rinunciare a pescare dal loro bagaglio idee e strumenti per intervenire nella grande panne in cui siamo. Se invece non si trattasse di “altro tipo di uomo”, cioè, se condividessimo che quel tipo è già presente, saremmo al punto zero di un cambio di rotta quantomai più efficace di quello tentato tirando la motonave con la barca a vela. La nuce che vi presiede potrebbe essere da precisare. Responsabile è colui che si comporta secondo quanto ritiene di dover fare secondo ruolo riconosciuto. Assunzione di responsabilità - sarebbe opportuno trovare termini meno consonanti - non riguarda il ruolo acquisito e/o riconosciuto. La cosa non significa casino, il contrario. Significa accettare la storia, cioè l’altro, sopratutto quando ci pare in torto. Non per apologia di cattolicesimo, ma “porgi l’altra guancia” alludeva a questo. Significa prendere coscienza che i cattivi sentimenti non possono produrre una storia pacifica. “Beati gli ultimi… “ Significa impedire lo scontro fin dalle sue origini. Il progetto ha una complicazione esiziale. Nei grandi numeri tende ad essere impossibile. Nei grandi numeri è forse fisiologico, naturale, riconoscere percentuali d’interessi diversi. Nei piccoli numeri il problema tende a scemare e l’assunzione di responsabilità a dimostrare la sua potenza. Per assumersi tutte le responsabilità occorre consapevolezza, motivazione ed esigenza.
Consapevolezza. Osservando il prossimo come un se stesso in tempo e forma differente, osiamo riconoscere come i pochi sentimenti che abbiamo, quasi come migrassero da un individuo all’altro, tendano a riprodurre sempre le stesse dinamiche. Motivazione. Quando quelle consapevolezze tendono a rimanere presenti, possono divenire il movente per mettere in moto l’aggiornamento di noi stessi. Abbasseremo il dito indice, diverremo più tolleranti, scopriremo l’empatia e altro. Realizzeremo nel privato il progetto anarchico. Da lì potremo allargare il cerchio. Viceversa, con il dito ad indicare gli eletti, come responsabili di tutto, non potremo allontanarci dalla dinamica dell’indice, quarantenni o competenti che siano. Esigenza. La consapevolezza da sola è debole, potrebbe averlo già detto Stirner. Per muoversi di conseguenza ad essa, è necessaria motivazione. Ma solo l’esigenza permanente apre alla concreta possibilità di aggiornare la rotta. Esigenza di che? Di correre al riparo dalla motonave che sta arrivando dritta in banchina. Mentre gli affanni fanno apparire importante l’elencone d’esordio, il fischio del pentolone a pressione ancora non tutti l’hanno sentito. La terra è in esaurimento. sopra e sotto. Miliardi di persone saranno il vero problema delle prossime generazioni. A braccetto ci sarà l’ambiente. Ad intrecciare le cose ci penserà la salute. Un’idea sociale ancora basata sul concetto di produzione e consumo è esattamente come quello di salute basato su medicine e chirurgia. Intanto il lago è coperto dalle ninfee per metà. Ancora una solo colpo e tutto sarà coperto. Non credo come Antonio e Milena - avercene di così bravi - ci siano soluzioni. Il più geniale dei governi potrà allungare l’agonia più di quanto avrà fatto quello modesto. Non di più. La banchina non reggerà. La motonave neppure. La democrazia, così come l´avevamo interpretata, come l´avevamo creduta e identificata, o così come ce l´avevano insegnata, nessuno l´ha mai vista. Il rischio possa comparire più avanti tende a zero. L´utopica anarchia, si ritrova così un´insospettata collega. Si è provato a realizzare la democrazia e non l´anarchia solo perché la prima pareva realistica. Solo perché la seconda era un modello troppo in là per essere riconosciuto nella sua valenza. Per provocare tutte quelle pratiche che ne avrebbero permesso l´applicazione alla realtà. Forse oggi possiamo aggiornare le concezioni, e il nome stesso. Possiamo dare all´anarchia - a sua volta opportunamente aggiornata - la chances che la democrazia ha bruciato. Dal governo di molti al governo di tutti il passo è possibile. Per le modalità, si veda come si è fatto a passare da quello di pochi a quello di molti. Dopo di lei altre flotte solcheranno le acque nere degli oceani (Soldini - avercene - non rimpianga nulla, dopo aver venduto Maserati). Non avranno le bandiere statali che conosciamo. Avranno quelle degli imperi oligarchici, delle mafie, delle multinazionali. Corazzate, cacciatorpediniere, sommergibili scorteranno le ammiraglie. Tutti quelli in banchina sono imbarcati. Servono schiavi. Gli stati sono in ipotetici libri di storia, come comuni, feudi e monarchie. Tra loro parleranno della democrazie e finalmente qualcosa che sostituirà i poveri carabinieri. |
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