Referente che modifica il riferito
"Mentre le istituzioni didattiche accumulano un numero infinito di fotografie sul campo che solitamente mostrano “i nativi” mentre danzano o branchi di animali che si comportano “in modo naturale”, il ricercatore sul campo viene tenuto attentamente fuori da questo quadro: ciò significa che non venga mai ritratto in foto sul campo, anzi, abbiamo i cassetti pieni di fotografie “personali” […].
Queste fotografie però, fino a poco tempo fa, non sono mai state viste come una parte integrante del processo con il quale viene prodotta la conoscenza […].
Solo recentemente si è compreso che queste fotografie ci dicono di più riguardo ai metodi di lavoro sul campo e delle loro conseguenze rispetto alle fotografie “ufficiali”, e ovunque vengono adesso frettolosamente reintegrate nella collezione completa.
Nei documenti e nelle monografie il ricercatore è visto tradizionalmente come distaccato e indifferente, come qualcuno che ha ricevuto il dono divino della visione, in cui il mondo esiste solo in modalità passiva.
Il lavoro sul campo è stato descritto a me, come studente, in termini di un processo di purificazione progressiva, di un qualcosa di depurato dei desideri materiali dell’Occidente, e che si confondeva con lo sfondo e veniva “accettato” da temi di ricerca a lui grati per lo sforzo. Gli interpreti venivano impiegati solo per essere poi mandati via velocemente. Non c’era nessuno, ma veramente mai, che fosse annoiato, di cattivo umore, che sentisse la mancanza di casa, fosse ubriaco e neanche affamato.
L’amore, il sesso e la diarrea non emergevano neanche nelle note a piè pagina: lo spirito puro non lo permetteva."
A.A.V.V. - Mi sono spinto troppo in là - FBE Edizioni, Trezzano sul Naviglio (MI) 2011
altrimenti detto